Giulio Ciccone, album di figurine
Libri nel Giro 2016. Corridore postino
Dorsale 26
Di Marco Pastonesi
“Il geco di Abruzzo” ha 21 anni, è piuttosto alto (1,76) e piuttosto smilzo (58), mostra occhi svegli e naso aerodinamico, indossa il dorsale 26 e la maglia verde Bardiani-Csf, e scatta quando la strada tira. Per questo lo chiamano “il geco di Abruzzo”: ama le salite ed è uno scalatore. Ed è per questo che soltanto adesso, per “il geco di Abruzzo”, comincia il bello.
Giulio Ciccone – è lui “il geco di Abruzzo” – è nato in cima a una salita della contrada Mulino, del paese Brecciarola, del comune di Chieti. E non può essere un caso. E non può essere un caso neppure che sulla prima bicicletta, una 24, rossa, non arrivasse alla sella e che sulla prima da corsa, una 28, non arrivasse ai pedali: erano salite anche quelle. Prima idea a sette anni, prima corsa a otto, a Manoppello, “ed è un miracolo se non ci ho lasciato la pelle, perché c’era stata una caduta e io, per evitarla, mi sono infilato tra il muro e un palo”. Da qui le prime raccomandazioni, quella della mamma, “va’ piano”, e quella del papà, “va bene”, che significava tutto ma anche niente, comunque il diritto di provarci, almeno a divertirsi.
Giulio ci ha provato e, se è qua al Giro, è anche perché si sta divertendo: “Per il ciclismo ho accantonato il gioco del calcio, i brividi del gokart e il diploma di geometra, anche perché da piccolo avrei voluto diventare un corridore e da grande vorrei rimanere in questo mondo. Per il ciclismo ho girato l’Italia, due volte vincitore dei gran premi della montagna al Valle d’Aosta, e un po’ anche l’Europa, secondo a un Tour de l’Avenir. Per il ciclismo smonto e rimonto la bicicletta, prima per il gusto di scoprirla, poi di conoscerla, studiarla e capirla”. E alla bici si dedica: “E’ tutto, è tutto quello che fai e dai, certe volte me la porto in camera per dormirci insieme, certe volte le parlo, come se potesse sentirmi e rispondermi, certe volte addirittura la prego e la ringrazio”. Lui che si ispirava a Marco Pantani: “Le salite, gli attacchi, la solitudine”. Lui che in cima alle salite rischia di sfiorare la felicità: “E se non è felicità, almeno è soddisfazione”.
E allora, la salita più lunga? “La Maddalena, fatta in corsa, e lo Stelvio, in allenamento”. La più dura? “Il muro di Guardiagrele, nelle Marche, alla Tirreno-Adriatico, breve ma con una rampa che, a occhio, anzi, a pedale, sarà del 25 per cento”. La più… dolomitica? “Sella e Pordoi, finora mai pedalate, ma aspetto questo Giro”. La più famigliare? “Il Blockhaus”. Ma la salita, perché? “Per conoscersi, approfondirsi, controllarsi”. Se no, che “geco di Abruzzo” sarebbe?