LIBRI NEL GIRO 2018 - Interviste impossibili - Colnaghi e quel ramo del lago: "Io mancato canottiere, ora Sagan è il mio eroe"
Alessandro Manzoni intervista Andrea Colnaghi
Intervista 'letteraria' nell'ambito dell'iniziativa "Libri nel Giro" a uno dei protagonisti del Giro d'Italia under 23
ROMA - Giro d'Italia Under 23: 10 giorni (dal 7 al 15 giugno), 11 frazioni (un cronoprologo, otto tappe e due semitappe, di cui una ancora a cronometro), 1206,9 km da Forlì a Cà del Poggio (Treviso), 176 corridori di 30 squadre, il meglio del ciclismo giovanile internazionale. Stavolta "Libri nel Giro" (il progetto dell'associazione Ti con Zero, per la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza e le Biblioteche di Roma) propone una serie di interviste cicloletterarie.
Alessandro Manzoni intervista Andrea Colnaghi. Dorsale 82, vent'anni, lombardo di Mandello del Lario, del Team Pala Fenice di Palazzago (Bergamo).
"Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti" ("I promessi sposi").
"Sono nato a Lecco, abito a Mandello del Lario, ma prima in Brianza. Forse sarei dovuto diventare un canottiere, Mandello è la patria della leggendaria Canottieri Moto Guzzi. E invece ciclismo. La prima bici, una Colombo, rossa, quando avevo sei anni. La prima corsa a Lecco, da G1, categoria giovanissimi, a sette anni: primo mio fratello gemello Davide, secondo io. Ero già arrivato secondo alla nascita: primo Davide, secondo io, quasi in volata. La prima vittoria forse da junior, ma non mi ricordo esattamente dove".
"Senza esempi non si fa nulla" ("I promessi sposi").
"Il mio primo eroe è stato Marco Pantani, anche se non avevo neppure un anno quando lui vinse Giro e Tour. Il mio attuale eroe è Peter Sagan. Per me la bici è la possibilità di sfogarmi, per me il ciclismo è passione, fatica e poi divertimento, per me la squadra è una seconda famiglia, ma anche la mia famiglia è una squadra. Il papà, Fabio, informatico, ha corso fino tra i dilettanti. E oltre a Davide e a me, c'è anche Luca, più piccolo, che gareggia per la Sangemini. L'unica che non pedala è la mamma, Viviana. Ma lei pedala anche senza bicicletta, al lavoro e a casa".
"Ecco il pane della provvidenza!" ("I promessi sposi").
"Alla terza superiore ho smesso di studiare. La scuola non faceva per me. Da allora mi sono dedicato alla bici e ai cani. In famiglia ne abbiamo un allevamento: border collie, jack russell, pastori tedeschi, labrador, una trentina, e un lupo, femmina, Morgana, da tenere in casa, e anche un gatto, che va d'accordo con tutti. I cani insegnano l'affettuosità, la fedeltà, l'obbedienza. Tutte caratteristiche preziose anche per i corridori. Dai cani c'è molto da imparare".
"S'ode a destra uno squillo di tromba; a sinistra risponde uno squillo" ("Il conte di Carmagnola").
"La partenza è libertà, l'arrivo è liberazione. Il rifornimento è conforto, la foratura è imprecazione. La salita è fatica, e dice sempre la verità, la volata è stress. Io sono velocino e tengo bene in salita. Invece la cronometro non è roba per me. E qui, il primo giorno, nel cronoprologo, sono arrivato ultimo: io ultimo e Davide quintultimo, cinque secondi meno di me. Vincere è tutto, ma qui nessuno perde, anche arrivare è già una mezza vittoria. Quest'anno avrò già collezionato una trentina di giorni di corse, vittorie zero, secondi e terzi posti zero, migliore piazzamento un sesto o un ottavo, non ricordo bene. Qui cerco di fare esperienza, e proverò a fare bene in qualche tappa. Il mio futuro voglio viverlo in bici, e per riuscirci ce la metterò tutta".
"Le vie di Dio son molte, più assai di quelle del mortal" ("Adelchi").
"Religioso? Poco. Appassionato? Molto".
"Volete aver molti in aiuto? Cercate di non averne bisogno" ("I promessi sposi").
"Leggo poco, però guardo tanto. Guardo intorno, guardo gli altri, guardo fuori, guardo anche dentro, e guardo la tv. Anche guardando s'impara".
LIBRI NEL GIRO 2018 - Interviste impossibili - Corradini e i comandamenti del ciclismo
Giro d'Italia Under 23: 10 giorni (dal 7 al 15 giugno), 11 frazioni (un cronoprologo, otto tappe e due semitappe, di cui una ancora a cronometro), 1210,5 km da Forlì a Ca' del Poggio (Treviso), 176 corridori di 30 squadre, il meglio del ciclismo giovanile internazionale. Stavolta "Libri nel Giro" (il progetto dell'associazione Ti con Zero, per la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza e le Biblioteche di Roma) propone una serie di interviste cicloletterarie.
Federico Fellini intervista Michele Corradini. Dorsale 185, ventidue anni, umbro di Perugia, del Team Mastromarco Sensi Nibali.
"Il bab del mi bab diceva così: per campè sein, bisogna pisè spes com i chein" ("Amarcord", 1973).
"Tutto cominciò con mio nonno: Ascanio Arcangeli. Nel 1931, a vent'anni, era già campione umbro. Partecipò al Giro d'Italia nel 1937 e 1938. E ricominciò a correre dopo la Seconda guerra mondiale, combattuta da bersagliere, e nonostante le ferite subite in battaglia. Il nonno Ascanio andava a correre in bicicletta: se vinceva, con i soldi del premio tornava a casa in treno; se non vinceva, tornava a casa in bici".
"Un babbo fa per cento figlioli e cento figlioli non fanno per un babbo" ("Amarcord", 1973).
"Papà Gabriele ha un distributore di benzina, mamma Teresa ha un negozio, vende e ripara le biciclette, da giovane anche lei correva, e una la vinse. Mia sorella maggiore Elena giocava a pallavolo, e la squadra - maschile - di Perugia quest'anno ha conquistato scudetto, Coppa Italia e Supercoppa. Così lo sport è di casa. La mia prima corsa da G6, a 12 anni: piazzato. La mia prima vittoria al secondo anno da esordiente, a 14 anni: a Tordandrea, una frazione di Assisi, in volata".
"Questo qui è un pezzo di catena dello spessore di mezzo centimetro, più forte dell'acciaio" ("La strada", 1954).
"Ho respirato l'aria dell'officina fin da piccolo. E so riparare la bici da solo. Ho tre bici, due, da corsa, sono della squadra, la terza, una mountain bike, è mia, e la uso per andare a spasso, per svago, d'inverno. La prima cosa che guardo in una bici è la forma del telaio. La parte più delicata è il cambio, perché è il punto in cui chi va in bici entra nella bici, in accordo, in armonia, in simbiosi, diventando - se possibile - un tutt'uno".
"Chi cerca Dio, lo trova dove vuole" ("La dolce vita", 1960).
"Il ciclismo mi ha dato i comandamenti. Il primo: la costanza. Il secondo: la disciplina. Il terzo: chi la dura, la vince. Finora 13 vittorie: due da esordiente secondo anno, una da allievo primo anno, quattro da allievo secondo anno, tre da junior, tre da under 23. La bici è libertà, il ciclismo è passione. Leggo poco, tra i giornali 'La Gazzetta dello Sport'. Guardo sport, film, serie tv. Per il ciclismo nel 2014 sono emigrato dall'Umbria alla Toscana, da Perugia a Mastromarco. La vita del corridore sembra vuota, invece è fatta di allenamenti e corse, ma anche di riposo e recupero".
"Ecco sì, nell'amore c'è questa tensione. Solo l'amore mi dà questa forza" ("La dolce vita", 1960).
"Convivo con Gemma. Lei non sapeva nulla di ciclismo, all'inizio mi chiedeva perché non andassi di qua o di là, perché non uscissi la sera. Adesso lo sa, si è appassionata, mi capisce, mi comprende. Il ciclismo è uno sport speciale, stancante, molto stancante. Ogni corsa ha una storia, ogni storia ha una sua trama, le sue avventure, e un finale da inventare".
"La felicità consiste nel poter dire la verità senza far mai soffrire nessuno" ("8 e ½").
"La verità te la dice solo la salita. Quando sono a Mastromarco, la salita di riferimento è il San Baronto da Lamporecchio. Quando sono a Perugia, è il Piccione, la stessa che faceva mio nonno Ascanio, caricandosi di pesi per allenarsi di più".
LIBRI NEL GIRO 2018 - Interviste impossibili - La Terra Pirrè e il fascino dello scalatore: "Cerchiamo sempre di superare noi stessi"
L'intervista impossibile di Luigi Pirandello al ventenne siciliano di Vittoria
di MARCO PASTONESI
Giro d'Italia Under 23: 10 giorni (dal 7 al 15 giugno), 11 frazioni (un cronoprologo, otto tappe e due semitappe, di cui una ancora a cronometro), 1210,5 km da Forlì a Ca' del Poggio (Treviso), 176 corridori di 30 squadre, il meglio del ciclismo giovanile internazionale. Stavolta "Libri nel Giro" (il progetto dell'associazione Ti con Zero, per la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza e le Biblioteche di Roma) propone una serie di interviste cicloletterarie.
Luigi Pirandello intervista Giuseppe La Terra Pirrè. Dorsale 186, vent'anni, siciliano di Vittoria, del Team Mastromarco Sensi Nibali.
"Una delle poche cose, anzi forse la sola ch'io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo" ("Il fu Mattia Pascal", 1904).
"Mi chiamo Giuseppe La Terra Pirrè. Due cognomi perché erano due famiglie, e quando si sono unite, nessuno ha voluto rinunciare. Però in paese esistono anche i La Terra e i Pirrè separati".
"Io sono nato in Sicilia e lì l'uomo nasce isola nell'isola e rimane tale fino alla morte, anche vivendo lontano dall'aspra terra natìa circondata dal mare immenso e geloso" (dal discorso pronunciato da Luigi Pirandello in morte di Giovanni Verga, 1922).
"Io sono nato a Vittoria, e Vittoria, per chi fa sport, è un nome molto pesante. Nel ciclismo presuppone grandi volate, grandi scalate, grandi fughe, grandi scatti. Io sono sempre stato piccolino, adesso sono alto un metro e settanta, peso cinquanta chili, e mi considerano uno scalatore puro. Vittorie? Qualcuna".
"La vita è il vento, la vita è il mare, la vita è il fuoco; non la terra che si incrosta e assume forma" ("Novelle per un anno", 1922).
"Il mio babbo, Salvatore, ha un'azienda agricola, 33mila metri quadrati, produce pomodori, qualità ciliegino, che sono buoni, ma i nostri ancora meglio, perché più freschi e più genuini. Per smettere di fumare, cominciò ad andare in bicicletta, e ci riuscì, e gli venne anche la passione, che trasmise a me e a Samuele, allievo al secondo anno. Mamma Daniela era operatrice socio-assistenziale in una casa-famiglia, adesso è casalinga".
"Ciò che noi conosciamo di noi stessi, non è che una parte, forse una piccolissima parte di quello che noi siamo" ("Umorismo", 1908).
"La prima bici, una Vicini. Non si riusciva a trovare una bici adatta a me, perché ero piccolino, ma avevo talmente tanta voglia di correre che alla fine la trovai. La prima corsa proprio a Vittoria, ero emozionatissimo, la conclusi in gruppo, ero strafelice. La mia società era la Multicar Amarò, maglia azzurra e bianca. E la prima vittoria non si può dimenticare, dopo tanta sofferenza perché ero il più minuto, il meno sviluppato: in notturna, a Solarino, la Coppa Santa Venera, arrivai da solo, io piangevo dalla gioia, gli altri pure".
"Naturalmente anche tu andrai via dalla Sicilia, ma non dimenticare il profumo" ("Bellavita", 1914).
"Poi, per poter correre, andai via dalla Sicilia. Ero junior, prima con una società di Caneva, in Friuli, poi con una toscana. E adesso ancora in Toscana, a Mastromarco, dove c'erano stati altri siciliani, da Damiano Caruso a Vincenzo Nibali, da Danilo Napolitano a Cristian Benenati, qui al Giro Under 23 c'è anche Francesco Romano. E' il nostro destino. A Mastromarco vivo in una casetta con altri corridori, camere a tre letti, ma siccome gli altri due tornano spesso a casa, Covili a Pavullo, Antonelli a San Marino, per la maggior parte del tempo dormo da solo".
"E tante e tante cose, in certi momenti eccezionali, noi sorprendiamo in noi stessi, percezioni, ragionamenti, stati di coscienza che son veramente oltre i limiti relativi della nostra esistenza normale e cosciente" ("Umorismo", 1908).
"La bicicletta è tutto. E' vita, è scuola, è famiglia. E' sacrifici e rinunce, anche piacere e divertimento. E' viaggiare, fuori e dentro di sé. E' regole. La bici mi forma come uomo, nel fisico e nella disciplina. E se non riuscirò a diventare un corridore professionista, però dalla bici avrò avuto comunque grandi insegnamenti".
"La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi, è soltanto possibile con un estraneo attorno: luogo o persona che sia, che del tutto vi ignorino, che del tutto voi ignoriate" ("Uno, nessuno e centomila", 1926).
"Il ciclismo, per me, sono le salite. Le salite sono un miscuglio di persone e posti. Gli scalatori sono particolari: hanno una voglia superiore, danno più del normale, cercano sempre di superare se stessi. Marco Pantani diceva che andava forte in salita per abbreviare l'agonia. Non so se è proprio così. Si patisce uguale".
"Don Lollò, la giara s'è rotta" ("La giara", 1928).
"I siciliani sono generosi, orgogliosi, speciali. Gente, se così si può dire, affamata. Non è che si sentano esclusi, però meno considerati. Per questo hanno voglia di emergere e farsi valere. Non ci fa paura nessuno e niente. Nel ciclismo metto il massimo impegno, tutte le mie forze".
LIBRI NEL GIRO 2018 - Interviste impossibili - Dainese si presenta: è nata una stella
L'intervista impossibile di Margherita Hack al 21enne veneto
di MARCO PASTONESI
Giro d'Italia Under 23: 10 giorni (dal 7 al 15 giugno), 11 frazioni (un cronoprologo, otto tappe e due semitappe, di cui una ancora a cronometro), 1210,5 km da Forlì a Ca' del Poggio (Treviso), 176 corridori di 30 squadre, il meglio del ciclismo giovanile internazionale. Stavolta "Libri nel Giro" (il progetto dell'associazione Ti con Zero, per la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza e le Biblioteche di Roma) propone una serie di interviste cicloletterarie.
Margherita Hack intervista Alberto Dainese. Dorsale 42, ventuno anni, veneto di Abano Terme, della Zalf Euromobil Desiree Fior.
"Una bicicletta tutta mia, pesante, senza marce, ma subito ridipinta tutta d'argento per farla sembrare da corsa" ("La mia vita in bicicletta", Ediciclo, 2011).
"La mia prima bici da corsa è stata una Fondriest. Avevo 14 anni, categoria allievi primo anno, correvo per la Padovani, maglia bianca e verde. La prima corsa non me la ricordo. La prima vittoria neanche. Ma l'ultima sì, forse perché è stata la più bella: lo scorso aprile, nel Città di San Vendemiano. E un'altra bella vittoria da junior, al Giro di Basilicata, in maglia azzurra".
"Si va abbastanza forte per assaporare l'ebbrezza della velocità e coprire distanze più lunghe di quelle che si fanno a piedi. E si va abbastanza piano per poter gustare il paesaggio e immergersi nella natura e nei suoi odori, cose impossibili in automobile" ("La mia vita in bicicletta", Ediciclo, 2011).
"La bici è fatica, il ciclismo è lo sport più duro e anche quello che mi affascina di più, è quello che ha la maggiore durata e, a tratti, la più alta intensità. Bici e ciclismo sono per il 50 per cento passione e per l'altro 50 lavoro".
"La domanda di rito, che rivolgevo a ogni nuova persona che incontravo, sia che fosse un ragazzino come me o un amico dei miei era: sei per Binda o per Guerra? Io ero per Binda" ("La mia vita in bicicletta", Ediciclo, 2011).
"Io sono per Valentino Rossi, anche se va in moto e non in bici. In moto vado anch'io, anzi, andavo, noi rischiamo in bici, non possiamo rischiare di farci male anche in moto. E poi tengo alla Juve nel calcio, tengo a Lebron James e Mike Westbrook nel basket...".
"Forse è vero che quando si è giovani non si pensa ai possibili pericoli, si gusta solo l'ebbrezza della velocità, del vento in faccia che porta il profumo delle piante" ("La mia vita in bicicletta", Ediciclo, 2011).
"La volata è adrenalina, la salita è tenacia, resistenza, stimolo a tenere duro, la discesa è brivido, la pianura è velocità. Sono un velocista puro. Ma cerco, voglio, imparo a difendermi anche su strade meno piatte e diritte. L'altro giorno, nella tappa di Sestola, con l'arrivo in salita, sono arrivato tredicesimo, poco lontano dai primi, ed ero quasi contento come se avessi vinto".
"Sul piazzale, cercando di girare, finii sul ghiaino e poi per terra; ero terrorizzata all'idea di aver rotto la bici, ma per fortuna si era solo storto un po' il manubrio".
"Nella tappa di Pergine mi sono steso dopo una decina di chilometri. Ginocchio, gomito... Peccato, era una tappa adatta a me. E la bicicletta, io saprei anche aggiustarmela da solo".
"Le tappe del Giro d'Italia erano spaventosamente lunghe, duecento e più chilometri, su strade sterrate e polverose, dove frequenti erano le forature" ("La mia vita in bicicletta", Ediciclo, 2011).
"Nella tappa di Dimaro, mai avrei pensato di farmi staccare in discesa. E' successo quando sono andato dietro, dall'ammiraglia, per restituire la mantellina: il gruppo ha allungato, si è creato un buco, sono rimasto indietro. Abbiamo lottato per chilometri, siamo riusciti ad arrivare fino a una cinquantina di metri, ma poi siamo stati ricacciati. Qui bisogna fare attenzione a tutti i movimenti, anche quelli che sembrano più innocui".
"Quell'estate del 1938, cominciai a fare lunghe gite in bicicletta, qualche volta alle Cascine con compagni e compagne, ma più spesso da sola" ("La mia vita in bicicletta", Ediciclo, 2011).
"Ci si può sentire solo quando ci si allena, ci si può sentire soli anche in gruppo quando si fa tanta fatica e ti chiedi chi te lo abbia fatto fare. In corsa si parla, si pensa, si spera, e quando ci si concentra, non resta più altro che strada, gara, lotta, sfida. L'importante non è partecipare, ma vincere".
"Devo concludere che non avrò una quarta giovinezza e dovrò decidermi ad attaccare la bicicletta al chiodo" ("La mia vita in bicicletta", Ediciclo, 2011).
"Mio padre è ingegnere civile, mia madre insegnante di lettere in un liceo, io mi sono diplomato in un istituto tecnico. Il ciclismo, da professionista, è quello che voglio fare. Ma se dovesse andarmi male, allora mi iscriverei all'università: Ingegneria, però meccanica".
"Andavo via verso le nove con un panino e un pezzettino di parmigiano" ("La mia vita in bicicletta", Ediciclo, 2011).
"Doping? Sono pulito. La maggior parte dei corridori è pulita. Qualcuno bara, come dovunque. Per me è una questione di onestà, rispetto, regola. I sacrifici pagano, nel ciclismo come nella vita. Il ciclismo mi rende una persona migliore".
LIBRI NEL GIRO 2018 - Bellia e la salita: "E' lì che capisci se puoi stare con i migliori"
L'intervista impossibile di Italo Calvino al ventenne piemontese
di MARCO PASTONESI
ROMA - Giro d'Italia Under 23: 10 giorni (dal 7 al 15 giugno), 11 frazioni (un cronoprologo, otto tappe e due semitappe, di cui una ancora a cronometro), 1210,5 km da Forlì a Ca' del Poggio (Treviso), 176 corridori di 30 squadre, il meglio del ciclismo giovanile internazionale. Stavolta "Libri nel Giro" (il progetto dell'associazione Ti con Zero, per la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza e le Biblioteche di Roma) propone una serie di interviste cicloletterarie. Questa è la quinta e ultima.
Italo Calvino intervista Matteo Bellia. Dorsale 201, vent'anni, piemontese di Domodossola, della svizzera Iam Excelsior Cycling Team.
"Quello che veramente ognuno di noi è ed ha, è il passato" ("Ti con zero, 1967).
"Papà, medico di famiglia. Mamma, lo aiuta. Mio fratello, tre anni meno di me, gioca a basket, playmaker, e quest'anno, nel Domodossola, sono stati promossi in serie B. Quello che ci accomuna, oltre al cognome, alla casa, a tutto, è la bicicletta. Papà è un ciclista amatore, qualche volta usciamo insieme, lui si allena con me, ed è bello stare insieme, condividere la stessa strada. E mamma è una ciclista saltuaria".
"Chi ha l'occhio, trova quel che cerca anche a occhi chiusi" ("Marcovaldo", 1963).
"La mia prima bicicletta deve essere stata una Viner, data da Florido Barale, il figlio di Germano Barale, che correva con Fausto Coppi. Negozio e squadra, passione e corse. La prima corsa da esordiente primo anno, in provincia di Novara: caddi e fui portato all'ospedale. Per quella stagione pensai che fosse meglio andare con più tranquillità e fare meno corse. Ricominciai da esordiente secondo anno".
"Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano" ("Le città invisibili", 1972).
"Per la prima vittoria dovetti aspettare di correre da allievo primo anno. Ad Acceglio, in provincia di Cuneo: finale in salita, arrivai da solo".
"Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane" ("Il visconte dimezzato", 1952).
"Dovrei essere uno scalatore. La salita è dove vado meno peggio. La salita dimostra quello che sei, quello che vali, ti fa conoscere i tuoi limiti, i tuoi confini. E' in salita che capisci se puoi tenere la ruota dei migliori: se su una salita che conosci fai un minuto in più o in meno, ecco la risposta, ecco la sentenza. La salita mette a nudo il corridore, lo spoglia, lo rivela".
"Le imprese che si basano su di una tenacia interiore devono essere mute e oscure; per poco uno le dichiari o se ne glori, tutto appare fatuo, senza senso o addirittura meschino" ("Il barone rampante", 1957).
"Il ciclismo è, per me, passione e divertimento. Io, in bici, mi diverto. Il ciclismo, per me, è impegno. Nessun sacrificio, solo impegno. Cerco di fare sempre del mio meglio. Perché c'è molto dietro a una corsa: allenamento, alimentazione, coscienza, volontà, squadra, anche la squadra, per credere e sostenere. Mi piacerebbe diventare un professionista, ma so che per diventarlo è indispensabile impegnarsi molto".
"In gioventù ogni libro nuovo che si legge è come un nuovo occhio che si apre e modifica la vista degli altri occhi o libri-occhi che si avevano prima" ("Il sentiero dei nidi di ragno", 1964).
"Non c'è nessun libro che mi abbia cambiato la vita, però Italo Calvino mi ha aiutato a vedere le cose con leggerezza e fantasia. Ho letto 'Le città invisibili' e 'Il sentiero dei nidi di ragno', 'Il visconte dimezzato' e 'Il cavaliere inesistente', e poi, letto e riletto, 'Il barone rampante'. Leggerezza e fantasia si adattano, moltissimo, anche nel modo di andare in bicicletta, dedicarsi al ciclismo, affrontare una salita".
"Anche ad essere si impara" ("Il cavaliere inesistente", 1959).
"Studio Medicina all'Università del Piemonte Orientale a Novara, una università con più sedi, ogni sede una facoltà. Finora ho dato uno scritto di Fisiologia, l'ho superato, darò l'orale. La scuola è voglia e volontà, voglia di imparare, volontà di studiare. Se dovessi spiegarmi in una sola parola: anatomia. Mi interessa tutto quello che riguarda il corpo umano".
"Arrivare e non aver paura, questa è la meta ultima dell'uomo" ("Il sentiero dei nidi di ragno", 1947).
"Eroi? Chiunque taglia il traguardo".
cuor di pedalata
UN CUORE DI PEDALATA – Aspettando il Giro
Una bicicletta porta donne e uomini, nonni e nipoti. Una bicicletta porta corridori e turisti, viandanti e gitanti. Una bicicletta porta lavoratori e studenti, bambini e pensionati. Una bicicletta porta la spesa del mercato e gli strumenti del lavoro. La nostra bicicletta porta libri. Li porta dove di libri c'è mancanza, bisogno, esigenza e urgenza. Li porta perché i libri contengono le vite, le nostre vite, le vite di tutti,le vite di sempre.
In collaborazione con le Biblioteche di Roma, il Coordinamento Roma ciclabile e Istituto Comprensivo Pablo Neruda di Roma
“Aspettando il Giro”, voluto dalle Biblioteche di Roma e finanziato dalla Regione Lazio con la legge regionale 23 ottobre 2009, n. 26 - Avviso pubblico “La Cultura fa Sistema”
https://www.youtube.com/watch?v=K6N3ucEB-J4&feature=youtu.be
Quel maggio del '68. "Voglio una bici", e così Gigi Sgarbozza vinse una tappa al Giro
Da piccolo stufava tutti: "Voglio una bici, voglio una bici", ripeteva. Finché gli sportivi - gli amici del bar dello sport ad Amaseno, a metà strada tra Frosinone e Terracina - organizzarono una colletta, tirarono su una cifra, comprarono una Legnano e gliela regalarono, poi, sfiniti, gli dissero: "E adesso pedala". Così Luigi Sgarbozza detto Gigi o Gigetto si ritrovò al Giro d'Italia. Mestiere velocista anche se era alto la metà di Dino Zandegù e pesava la metà di Marino Basso, secondo anno da professionista e vittorie in carriera zero, aveva 23 anni e un sogno. Questo.
"Quattordicesima tappa, da Vittorio Veneto a Marina Romea, 194 chilometri, la fuga nata dopo 50-60, 17 corridori, nessuno di classifica, giornata di libertà per tutti, giornata di gloria per uno solo. Avevo un compagno di squadra, Guido Neri, ma lui non volle mettersi a mia disposizione, e io non volli mettermi a suo servizio, così ognuno fece la sua corsa. Mi guardai intorno, studiai la situazione, mi concentrai su un francese, Charly Grosskost, maglia della Bic, quell'anno secondo alla Milano-Sanremo e primo nel cronoprologo al Giro, puntai tutto su di lui e a qualche chilometro dall'arrivo m'incollai alla sua ruota. Ultimo chilometro, meno 800, meno 600. Senonché, a 400 metri dal traguardo, lui era sedicesimo e io diciassettesimo. Capii che non era la ruota giusta. Rimontai, li rimontai tutti, a uno a uno, l'ultimo fu un tedesco, Wilfried Peffgen, e vinsi".
Gigi sapeva che cosa fosse il ciclismo ancora prima di salire su una bici e attaccarsi il dorsale: "Perché sapevo che cosa fosse la fatica. Quinta elementare, poi cinque anni come fabbro. Lavoravo senza maschera, e la notte, per riprendermi, dormivo con due fette di patate sugli occhi. Intanto scuole serali ed esame di terza media. A 15 anni emigrai a Roma, a Cinecittà, da una zia. Trovai lavoro come tecnico idraulico. Sveglia alle 5, due ore di allenamento, alle 7 e mezzo in tram a lavorare in un cantiere ai Parioli. Finché trovai un impiego in uno studio cinematografico. Proiettavo anteprime per attori e attrici: Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Brigitte Bardot. Si finiva di notte, ma la notte era illuminata a giorno dai flash dei paparazzi".
Però c'era la bici, c'era il ciclismo, c'era il Giro d'Italia. "Nella Max Meyer, quella del barattolo rovesciato e il cane con il pennello in bocca, una squadra abbastanza forte, fatta di combattenti, che correvano alla garbaldina. Michelotto: serio, anche troppo. Neri: furbo, veloce. Durante: amico, dormivo con lui. Ballini: di classe, ma discontinuo. Galbo: pazzo, burlone. Cucchietti: l'ombra di Galbo, inseparabile. Fantinato: duro, forte. Stefanoni: un gigante buono... Direttore sportivo: Gastone Nencini, troppo bravo per vivere in questo mondo, ero suo tifoso quando correva, ero suo tifoso anche quando dirigeva. Si campava un po' con lo stipendio, poco più alto di quello di un operaio, un po' con i premi, che si dividevano fra tutti i compagni, un po' con la gloria, eravamo personaggi, giravano delle donne, a noi come ai giornalisti, era una cosa naturale, poi bisognava decidere se fare la vita del corridore o no. E si campava anche con qualche trucco. Uno lo avevo imparato da un collega, Giancarlo Polidori. In salita si lamentava, disperato: 'Mi è saltata la catena'. E gli spettatori, impietositi, lo spingevano".
Era il '68. "Ma noi corridori pensavamo a correre, chiusi nella nostra strada e nella nostra fatica. Però qualcosa si sentiva, si vedeva, si intuiva. E si ascoltava. Io avevo una passione per Adriano Celentano. Lo incontrammo ad Amatrice, stava girando il film 'Serafino', eravamo nello stesso albergo,
fu una fortuna. E poi Fabrizio De André. Poco tempo fa mi è stata rubata la macchina nel centro di Grottaferrata, dentro avevo tutti i cd di De André. Mi è dispiaciuto più per i cd che per la macchina. Quasi. Smisi di correre a 28 anni. Troppo presto. La Max Meyer squadra si era sciolta, ma era rimasta la società. Fui assunto come rappresentante. Avevo successo: i clienti mi riconoscevano e acquistavano vernici anche se non ne avevano bisogno"
Quel maggio del '68 - Bocci, il sindacalista che guidò la 'rivolta dei gregari'
Era considerato il sessantottino del gruppo: "Negli ingaggi per i circuiti, ai campioni come Gimondi e Adorni fino a un milione a riunione, ai gregari come me 25mila lire. Troppa differenza". E il rimpianto per una tappa di cinquanta anni fa sfumata per una furbata
di MARCO PASTONESI
Eraldo Bocci era considerato il sindacalista, forse il rivoluzionario e, in quell'anno, il sessantottino. Il "Corriere dello sport" attribuì a lui "la rivolta dei gregari". Spiega: "Si faticava tanto, si guadagnava poco. Anche negli ingaggi per i circuiti. Ai campioni come Gimondi e Adorni fino a un milione a riunione, ai gregari come me 25mila lire. Troppa differenza. Se esistevano i capitani, era perché esistevano anche i gregari. Non era giusto".
Tutto cominciò con una radio: "Quella del Cral, Circolo ricreativo aziendale lavoratori. Era l'unica radio del paese, l'unica pubblica, l'unica per tutti. Lì, in un silenzio religioso, si ascoltava la radiocronaca della tappa del Giro d'Italia. Era la fine degli anni Quaranta, l'inizio degli anni Cinquanta. Era il tempo di Bartali e Coppi, poi di Magni e Fornara. Arlena di Castro, un centinaio di chilometri da Roma, ma al confine con la Toscana, era bartaliana. E bartaliano diventai anch'io. Invece mio padre teneva a tutti, a Bartali, a Coppi, al ciclismo".
Tutto esplose con una bicicletta: "Una Legnano, da corsa, regalo di mio padre. Avevo 16 anni. La nostra famiglia era di origini contadine, poi mio padre aprì un bar, e lì ci lavorò anche mia madre. Eravamo due fratelli e due sorelle, io il numero 2. Studiai fino alla terza media, avrei ricominciato più tardi, arrivai fino alla quarta ragioneria, venni bocciato alla maturità, e non ci riprovai più. Ormai c'era il ciclismo. Per quelli del Centro e del Sud, era molto più dura: bisognava andare più forte di quelli del Nord per dimostrare di non essere raccomandati o lavativi. Ce la feci. Quattro anni da professionista, dal 1967 al 1970, con Germanvox e Ferretti, tre Giri d'Italia e un Tour de France, passista veloce, nelle giornate buone mi difendevo anche in salita, doti da fondista, poco spazio nelle corse a tappe, di più in quelle in linea".
Tutto si fece strada a forza di pedali: "Quando aiutavo i capitani, da Taccone a Ritter, ero più di un gregario, ero un gregario di lusso, un luogotenente. Siccome non c'erano le telecamere mobili, ma solo quelle fisse, in salita i capitani si attaccavano ai pantaloncini dei gregari, era uno spettacolo triste. Siccome non c'erano i rifornimenti volanti, ci si tuffava nelle fontane, si assaltavano i bar, si rubavano le bibite, si urlava 'paga il padrone del Giro', e quante volte venivamo presi a scopate in testa dai baristi. E siccome eravamo corridori, si cercava anche di vincere. Ho vinto un'eliminazione in un tipo-pista a Terni e una velocità al Velodromo olimpico tra i corridori laziali. Ho fatto secondo a una Milano-Vignola e a un Giro del Lazio dietro a Gimondi".
Tutto sembra concentrarsi su un rimpianto: "Giro d'Italia del 1968, ventesima tappa, Roma-Rocca di Cambio, 215 chilometri. Traguardo volante a Rieti: 100mila lire in palio. Siccome Adorni e Taccone, il mio capitano, hanno litigato, ogni volta che uno di noi va in fuga, un corridore di Adorni viene a prenderci. Allora vado da Armani e gli chiedo il permesso. Scappiamo in tre: io, lo spagnolo Santamarina e lo svizzero Brand. Vinco la volata e, come d'accordo, io e Brand ci fermiamo, Santamarina no. Due volte gli vado sotto e gli ricordo che avremmo dovuto fermarci, quasi lo strattono, poi lo abbandono. Noi veniamo ripresi dal gruppo, Santamarina prosegue, guadagna fino a 10 minuti di vantaggio, quando il gruppo lo insegue è ormai troppo tardi, e vince con più di 6 minuti. Se avessi fatto il furbo, gli sarei rimasto a ruota e in volata lo avrei battuto. Pazienza, si vede che era destino".
Tutto finì in un taxi: "Smesso di correre, accettai la proposta di uno zio, tassista a Roma. Trentacinque anni di servizio. Portai Alberto Sordi e Vittorio Gassman, tre o quattro volte Marcello Mastroianni. Una volta salì sul mio taxi anche Gimondi. E due volte, attraverso altri tassisti, mi giunsero i saluti di Alfredo Martini, che era stato il mio direttore sportivo alla Ferretti e durante il Tour. Poi tornai al paesello. Ho la casetta, ho l'orticello, ho figli e nipoti, e ho una bicicletta. Due-tre orette il martedì e il giovedì, con Trapè, Sgarbozza e gli amici del gruppo ciclistico, più la domenica. Con le dovute cautele. Le salite, quando si può, le evitiamo: bastano e avanzano quelle fatte in gioventù".
Quel maggio del '68 - Mario Mancini: "Dopo le Tre Cime di Lavaredo rimasi congelato 5 mesi..."
Marchigiano, c'era anche lui nella tappa più dura del Giro di 50 anni fa: "Fui caricato su una macchina, portato in un albergo e immerso in una vasca piena di acqua calda. Ma a novembre avevo ancora le punte delle dita che mi pizzicavano"
di MARCO PASTONESI
ROMA - Cinquant'anni fa c'era anche lui su una bici, con il dorsale, al pronti-via da Campione d'Italia e poi all'arrivo a Napoli, per 3917 chilometri, in tv e sui giornali: Mario Mancini, della Kelvinator, sessantunesimo nella classifica finale, con un ritardo di due ore, 25 minuti e 21 secondi dal primo, Eddy Merckx, ma con un vantaggio di un'ora, 18 minuti e 37 secondi sul novantesimo e ultimo, Giuseppe Poli.
Chilometro zero: "Marchigiano di Potenza Picena. Famiglia contadina. Mio padre era un coltivatore diretto. Si faceva un po' di tutto, innanzitutto per la famiglia, e se avanzava qualcosa, si vendeva. Nato il 25 dicembre del '43: una fregatura doppia, la prima perché successe sotto i bombardamenti, fra casa e rifugi antiaerei, la seconda perché i regali di Natale erano anche quelli del compleanno, e quelli del compleanno erano anche quelli di Natale. Una sorella, due fratelli, io il terzo dei quattro. In seconda media ho smesso di studiare e cominciato a lavorare, meccanico".
Traguardo volante: "In casa si respirava ciclismo, mio padre correva, era bartaliano, e quando c'era il Giro d'Italia mi mandava ogni mattina a comperare 'Stadio', l'edicola stava a un chilometro, avevo cinque o sei anni, andavo e tornavo a piedi. La prima bici era quella della mamma, una bici da donna, 15 chili, con quella andai a vedere il Giro d'Italia, sull'Adriatica, discesa al'andata ma salita al ritorno, avevo 8-9 anni, i miei amici 4-5 più di me, poi ero così stanco che passai due giorni a letto con la febbre. La prima bici, mia, a 13 anni, arrangiata, un pezzo qua e un pezzo là. La mia prima corsa da esordiente, a 15 anni, su una bici della società, io ero piccolino e la bici, anche se con la sella bassa, era comunque alta, finché alla fine della stagione ne ereditai un'altra da un dilettante, e con quella volavo".
Fuga: "Da dilettante correvo in Toscana, nel 1966 diventai campione toscano, vinsi anche il Giro del Casentino e la Firenze-Viareggio, fui convocato in azzurro per la Praga-Versavia-Berlino ma la squadra non mi lasciò andare. Il passaggio al professionismo fu supermeritato. Ma il primo anno, alla Germanvox, non ingranai la marcia. Invece il secondo, alla Kelvinator, andò meglio. Al Giro ero con Lievore, Benfatto, Negro... In un filmato delle Tre Cime di Lavaredo mi sono riconosciuto, dietro una moto della polizia, sotto la neve, congelato, dopo la tappa fui caricato su una macchina, portato in un albergo a Cortina d'Ampezzo e immerso in una vasca piena di acqua calda, eppure cinque mesi dopo, a novembre, avevo ancora le punte delle dita che mi pizzicavano".
Controfuga: "Dopo il Giro d'Italia vinsi un circuito, a Figline Valdarno, in notturna. Fu un errore: non avrei dovuto vincere, quella vittoria mi costò caro, c'era anche Mealli che era l'idolo locale, così non venni più invitato ai circuiti, e i circuiti prevedevano guadagni. Però quell'errore mi servì per non commetterne altri nella vita normale".
Traguardo: "Smisi di correre alla fine del 1968 anche se le due ultime corse andai forte, quattordicesimo alla Coppa Agostoni, con tutti i migliori, e diciottesimo al Giro di Lombardia, ottavo degli italiani. Il '68 lo avevamo vissuto di lato, noi pensavamo di più a correre in bicicletta. Andai a lavorare, prima in un frutta & verdura, poi in una fabbrichetta di plastica. Nel tempo libero continuai a pedalare e a gareggiare, e finalmente imparai anche a correre: fino a quel momento non sapevo limare le ruote, così non riuscivo a stare in gruppo, prendevo sempre un sacco di aria e vento. E adesso, da nonno, con cinque nipotini, tutti maschi, in bici ci vado ancora".
Quel maggio del '68 - Vittorio Adorni, l'unico che poteva dare ordini a Merckx
Il fuoriclasse emiliano, campione del mondo a Imola proprio 50 anni fa, racconta quando il Cannibale gli diede retta ed andò a stravincere il Giro alla Tre Cime di Lavaredo
di MARCO PASTONESI
Merckx lo chiamava "il Professore". "Perché avevo otto anni più di lui, perché ne avevo altri quattro di professionismo più di lui, perché parlavo l'italiano meglio di lui, e perché il direttore sportivo, Vincenzo Giacotto, aveva dichiarato che tutte le decisioni sarebbero state prese insieme a me. E siccome al Giro d'Italia dormivano nella stessa camera, Eddy sapeva che non lo avrei mai perso di vista".
Vittorio Adorni era "il Professore". "Avevo trent'anni. Avevo un ruolo da capitano in una nuova squadra, la Faema, minacciato proprio da quel nuovo compagno, Merckx. Avevo già una vittoria al Giro d'Italia, due al Giro di Romandia e una al Giro del Belgio, e tra compagni (Merckx) e avversari (Gimondi) non so quanto avrei potuto vincere ancora. Avevo anche voglia di fare altro: in tv avevo debuttato al 'Processo alla tappa', Sergio Zavoli mi aveva voluto ospite quasi fisso accanto a lui, e c'era la possibilità di condurre un nuovo telequiz".
Ma prima c'era quel maggio del '68. "Il primo giorno Merckx conquistò tappa e maglia. In camera gli dissi che quella maglia rosa dovevamo perderla. Cosa?, mi fece, arrabbiatissimo. Se vuoi vincerla, gli spiegai, dobbiamo perderla. L'aveva stesa su una sedia, e la guardava incantato così come si ammira un capolavoro agli Uffizi o al Louvre. E aggiunsi che l'avremmo ripresa, definitivamente, alle Tre Cime di Lavaredo. Anche se a fatica, lo convinsi. E lo convinsi anche ad attaccare solo dopo aver ricevuto un mio segno di consenso. E andò proprio così: Dancelli prese la maglia rosa e la tenne fino al giorno delle Tre Cime. Lì andò via una fuga, con dei buoni corridori, e con un vantaggio che arrivò a una decina di minuti. Merckx scalpitava: non ti preoccupare, gli dissi. Ma sul Passo di Sant'Osvaldo Merckx non resistette più e scattò. Andai da Marino Vigna, il nostro direttore sportivo, e lo pregai di fermare Merckx. Impossibile, mi rispose. Bisogna fermarlo, lo implorai, a tutti i costi. Vigna andò da Merckx e gli ordinò di fermarsi. Invano. Glielo ripeté finché Merckx gli disse va bene, ma come? Vigna trovò la soluzione: fa finta di avere forato. Così Merckx si portò sul bordo della strada e cominciò ad armeggiare con la ruota fino al nostro arrivo, qui rientrò nel gruppo, mi si avvicinò, cercò il mio sguardo e se avesse potuto fulminarmi, lo avrebbe fatto. Tranquillo, gli dissi, non è ancora il momento. Il momento arrivò dopo Auronzo verso Cortina: Vandenbossche, che era un bel cammello, attaccò un ritmo allegro veloce, dietro di lui Merckx, Gimondi, Zilioli e io, e il gruppo si frazionò. Ogni 500 metri Eddy si girava e mi guardava, ma io scuotevo la testa. Quando vidi che erano tutti cotti, finalmente feci cenno di sì, e Eddy scattò.
Gimondi fece uno sforzo terribile per riportarsi sotto di lui. Eddy rifiatò, poi mi guardò, gli feci un altro cenno di sì, e lui rifilò un secondo colpo. Gimondi cedette. Piano piano tornai sotto Merckx all'inizio del Passo Tre Croci. Prima di Misurina, gli dissi vai. E lui andò. Tappa, maglia e Giro. In sala-stampa Eddy mi sorrise. In camera, mentre facevo il bagno, mi chiese come avessi fatto a capire il momento giusto. Lo capirai, gli dissi, quando avrai la mia età. La gente non me lo perdonò: alla fine di quel Giro, a Napoli, fui fischiato per aver aiutato uno straniero a vincere. Mi rifeci qualche mese più tardi: campione del mondo a Imola".
Che anno, il '68. "Le lotte degli operai e le manifestazioni degli studenti, gli striscioni sui cancelli delle fabbriche e i cartelli fra la gente nelle piazze. Anche nello sport tirava un'altra aria: Merckx che conquistò il Giro al suo esordio, l'Italia che vinse gli Europei di calcio, poi le Olimpiadi di Città del Messico con Tommy Smith e John Carlos con il pugno chiuso sul podio dei 200 metri". Intanto anche Adorni aveva fatto la sua piccola rivoluzione, cedendo alle lusinghe del telequiz: si intitolava "Ciao mamma".
LIBRI NEL GIRO 2018 V edizione
LIBRI NEL GIRO 2018 - V edizione
Dal 6 maggio al 16 giugno
Progetto di promozione della lettura e cultura della bicicletta
a cura di Ti con Zero e Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza
Il Giro d’Italia non è solo una corsa – la Corsa Rosa del 2018 – di 3562,9 km in 21 tappe e 24 giorni per 176 corridori di 22 squadre. Il Giro d’Italia è una storia cominciata nel 1909, letteraria e poetica, teatrale e cinematografica, è una storia di storie, uomini e anche donne, campioni e soprattutto gregari, è una mappa di salite e discese, è un’enciclopedia di fughe e inseguimenti, è una grammatica di bici e ruote.
“Libri nel Giro”, l’iniziativa organizzata dall’associazione Ti con Zero e dalla Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza, accompagna il Giro d’Italia per il quinto anno consecutivo con l’obiettivo di promuoverne la cultura e la lettura. Il calendario del 2018 si svolge principalmente a Roma (sede dell’arrivo finale del Giro d’Italia il 27 maggio), e comprende per tutto il mese di maggio: pedalate, incontri tra letteratura e sport nelle aule magne dei licei sportivi romani, teatrini di carta dedicati al ciclismo, reading, libri, laboratori, narrazioni performative con teatrino in miniatura.
La Biblioteca della Bicicletta Lucos Cozza, l'unica specializzata nel genere in tutta Europa, possiede 2000 libri e dal 2016 è stata accolta e sostenuta dalle Biblioteche di Roma nella sede di Casa del Parco.
“Aspettando il Giro” è il progetto sostenuto dalle Biblioteche di Roma e promuove tra le tante attività la prima edizione di “Cuor di pedalata” , (in programma lunedì 28 maggio: la biblioteca della bicicletta raccoglie e dona libri per l’infanzia alle scuole di periferia in collaborazione con il Coordinamento Roma ciclabile) e quattro incontri tra sport e letteratura dedicati ai ragazzi (con il maestro dello sport Sandro Donati, i giornalisti Luigi Panella e Maurizio Nicita, lo scrittore Lorenzo Iervolino, Portiere della Lazio nell’anno dello scudetto 1074 Felice Pulici, l’ex campione del mondo supermedi Giovanni De Carolis, tre volte campione del mondo nella spada (a squadre), poi direttore tecnico e commentatore tv Stefano Pantano, e con gli attori Patrizia Hartman e Gabriele Benedetti.
“Giro al museo” è il progetto sostenuto dal Museo delle Civiltà realizzato presso il Museo delle arti e tradizioni popolari di Roma, che dal 6 maggio accoglierà una mostra di teatrini ispirati al ciclismo e alla bicicletta, opere di Fernanda Pessolano, con testi di Marco Pastonesi, scrittore e giornalista sportivo e Attilio Scarpellini, critico teatrale, corredata da laboratori per bambini, da un gioco-quiz sulla bicicletta e sul ciclismo, dalla narrazione performativa “Alfonsina e il circo” (Ediciclo) con un teatrino in miniatura di e con Tamara Bartolini e Michele Baronio dedicato ad Alfonsina Strada, la prima e unica donna che abbia mai partecipato (accadde nel 1924) al Giro d’Italia degli uomini, e da un reading con musica dal vivo dedicato agli ultimi in classifica, con Marco Pastonesi e Alessandro D’Alessandro, musicista.
Dal 6 al 16 giugno la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza si sposterà nelle biblioteche di tappa del Giro d’Italia under 23, con laboratori e incontri in librerie di Forlì, Riccione, Nonantola (Modena), Pergine Valsugana (Trento) e Conegliano (Treviso).
Partecipano
Tamara Bartolini, Michele Baronio, Gabriele Benedetti, Settimio Cecconi, Cordinamento Roma Ciclabile – Ruotalibera Fiab, NarturAmici, VediRomaInBici -, Alessandro D’Alessandro, Mauro Da Dalto, Giovanni De Carolis, Sandro Donati, Mauro Galvano, Patrizia Hartman, Lorenzo Iervolino, Maurizio Nicita, Franco Magnani, Maria Morhart, Elisabetta Pagnani, Roberto Palma, Luigi Panella, Stefano Pantano, Marco Pastonesi, Fernanda Pessolano, Umberto Pessolano, Felice Pulici, Ornella Ricci, Silvano Riccò, Attilio Scarpellini
Collaborazioni e patrocini
Centro per il libro e la lettura, Il Maggio dei Libri, repubblica.it, Museo delle Civiltà-Museo delle arti e tradizioni popolari, Biblioteche di Roma, Biblioteche dei comuni di tappa Giro d’Italia under 23 – Conegliano Veneto, Forlì, Nonantola, Pergine Valsugana, Riccione - , Giro d’Italia under 23, Federazione ciclistica italiana, Regione Emilia Romagna, Regione Lazio, Regione Lombardia, Regione Trentino Alto Adige Regione Veneto, Coordinamento Roma Ciclabile – Ruota libera Fiab, VediRomaInBici, NaturAmici -.
“Aspettando il Giro”, voluto dalle Biblioteche di Roma e finanziato dalla Regione Lazio con la legge regionale 23 ottobre 2009, n. 26 - Avviso pubblico “La Cultura fa Sistema”
info
bibliotecadellabicicletta@gmail.com
FB biblioteca della bicicletta Lucos Cozza
http://www.museocivilta.beniculturali.it/
https://www.bibliotechediroma.it/opac/