L’intervista impossibile di Italo Calvino al ventenne piemontese

di MARCO PASTONESI

ROMA – Giro d’Italia Under 23: 10 giorni (dal 7 al 15 giugno), 11 frazioni (un cronoprologo, otto tappe e due semitappe, di cui una ancora a cronometro), 1210,5 km da Forlì a Ca’ del Poggio (Treviso), 176 corridori di 30 squadre, il meglio del ciclismo giovanile internazionale. Stavolta “Libri nel Giro” (il progetto dell’associazione Ti con Zero, per la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza e le Biblioteche di Roma) propone una serie di interviste cicloletterarie. Questa è la quinta e ultima.

Italo Calvino intervista Matteo Bellia. Dorsale 201, vent’anni, piemontese di Domodossola, della svizzera Iam Excelsior Cycling Team.
“Quello che veramente ognuno di noi è ed ha, è il passato” (“Ti con zero, 1967).

“Papà, medico di famiglia. Mamma, lo aiuta. Mio fratello, tre anni meno di me, gioca a basket, playmaker, e quest’anno, nel Domodossola, sono stati promossi in serie B. Quello che ci accomuna, oltre al cognome, alla casa, a tutto, è la bicicletta. Papà è un ciclista amatore, qualche volta usciamo insieme, lui si allena con me, ed è bello stare insieme, condividere la stessa strada. E mamma è una ciclista saltuaria”.
“Chi ha l’occhio, trova quel che cerca anche a occhi chiusi” (“Marcovaldo”, 1963).
“La mia prima bicicletta deve essere stata una Viner, data da Florido Barale, il figlio di Germano Barale, che correva con Fausto Coppi. Negozio e squadra, passione e corse. La prima corsa da esordiente primo anno, in provincia di Novara: caddi e fui portato all’ospedale. Per quella stagione pensai che fosse meglio andare con più tranquillità e fare meno corse. Ricominciai da esordiente secondo anno”.
“Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano” (“Le città invisibili”, 1972).
“Per la prima vittoria dovetti aspettare di correre da allievo primo anno. Ad Acceglio, in provincia di Cuneo: finale in salita, arrivai da solo”.
“Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane” (“Il visconte dimezzato”, 1952).
“Dovrei essere uno scalatore. La salita è dove vado meno peggio. La salita dimostra quello che sei, quello che vali, ti fa conoscere i tuoi limiti, i tuoi confini. E’ in salita che capisci se puoi tenere la ruota dei migliori: se su una salita che conosci fai un minuto in più o in meno, ecco la risposta, ecco la sentenza. La salita mette a nudo il corridore, lo spoglia, lo rivela”.
“Le imprese che si basano su di una tenacia interiore devono essere mute e oscure; per poco uno le dichiari o se ne glori, tutto appare fatuo, senza senso o addirittura meschino” (“Il barone rampante”, 1957).
“Il ciclismo è, per me, passione e divertimento. Io, in bici, mi diverto. Il ciclismo, per me, è impegno. Nessun sacrificio, solo impegno. Cerco di fare sempre del mio meglio. Perché c’è molto dietro a una corsa: allenamento, alimentazione, coscienza, volontà, squadra, anche la squadra, per credere e sostenere. Mi piacerebbe diventare un professionista, ma so che per diventarlo è indispensabile impegnarsi molto”.
“In gioventù ogni libro nuovo che si legge è come un nuovo occhio che si apre e modifica la vista degli altri occhi o libri-occhi che si avevano prima” (“Il sentiero dei nidi di ragno”, 1964).
“Non c’è nessun libro che mi abbia cambiato la vita, però Italo Calvino mi ha aiutato a vedere le cose con leggerezza e fantasia. Ho letto ‘Le città invisibili’ e ‘Il sentiero dei nidi di ragno’, ‘Il visconte dimezzato’ e ‘Il cavaliere inesistente’, e poi, letto e riletto, ‘Il barone rampante’. Leggerezza e fantasia si adattano, moltissimo, anche nel modo di andare in bicicletta, dedicarsi al ciclismo, affrontare una salita”.
“Anche ad essere si impara” (“Il cavaliere inesistente”, 1959).
“Studio Medicina all’Università del Piemonte Orientale a Novara, una università con più sedi, ogni sede una facoltà. Finora ho dato uno scritto di Fisiologia, l’ho superato, darò l’orale. La scuola è voglia e volontà, voglia di imparare, volontà di studiare. Se dovessi spiegarmi in una sola parola: anatomia. Mi interessa tutto quello che riguarda il corpo umano”.
“Arrivare e non aver paura, questa è la meta ultima dell’uomo” (“Il sentiero dei nidi di ragno”, 1947).
“Eroi? Chiunque taglia il traguardo”.