Daniele Colli, album di figurine

Il diario del Giro d’Italia: Daniele Colli (seconda tappa)

di Marco Pastonesi

Cento anni fa i bersaglieri-ciclisti. Oggi i corridori-postini. Che per “Libri in Giro” e la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza scrivono una pagina del diario della corsa

Genova, domenica 10 maggio 2015

Daniele Colli (Nippo-Vini Fantini)

Quando in pullman siamo entrati in Albenga, per prepararci alla partenza, ho avuto, all’improvviso, un flash-back: io, soldato, al Centro addestramento reclute, nel 2002. Per il servizio militare. Le strade del ciclismo vanno e vengono, vanno e tornano, vanno e danno, vanno e cercano, vanno e trovano, vanno e ritrovano. Al Car di Albenga rimasi un mese, poi il trasferimento a Roma, nella Compagnia atleti. Oggi, ad Albenga, ci siamo rimasti un paio d’ore: la riunione tecnica, la firma del foglio di partenza, il pronti-via. Via alla prima vera tappa del mio secondo Giro d’Italia.

Tanta gente e tanto caldo, una giornata d’estate, perfino la gente – e confesso che ho ceduto all’invidia – che stava sulla spiaggia a fare il bagno. Poi la corsa. A 50 chilometri dal traguardo, la Tinkoff-Saxo di Alberto Contador ha preso in mano la gara, e allora si è capito che sarebbe finita con una volata. Finale difficile, circuito cittadino, ultimi seicento metri in salita. Sono arrivato nono. E sono contento.

Mi ricordo che, da piccolo, andavo con mio papà a vedere il Giro d’Italia. Le tappe in salita, cercando di riconoscere Indurain e Chiappucci, e la tappa di Milano, quella finale, che finiva sempre in volata. “Un giorno – gli dicevo – voglio essere come loro”. Avevo una mountain bike. Arrivavamo sempre con un grande anticipo, si stava ore sulla strada, prima c’era la carovana, poi arrivavano i corridori, ma quelli passavano in un attimo. Eppure l’attesa non mi pesava. Anzi, aveva il suo bello.

Adesso, da corridore, mi sembra che non ci sia mai tempo. Tra il prepararsi, il trasferirsi, il correre, poi il tornare in albergo, la merenda, il massaggio, la cena, e non vedi l’ora di andare a dormire. In valigia ho messo solo le casse dello stereo per sentire bene la musica: mi rilassa. Invece niente libri: quelli m’impegnano. L’unico impegno dev’essere il Giro: aiutare i compagni quando ne hanno bisogno, non tradire la loro fiducia quando sono loro ad aiutare me. Giorno dopo giorno, tappa dopo tappa. E va a finire che molte tappe sembrino uguali, un copia-e-incolla. Tranne il giorno di riposo, in cui il tempo vola.

Ma questa era la vita che volevo fare da piccolo quando andavo a vedere il Giro. E me la godo.

2° tappa, Albenga-Genova, 177 chilometri

Arrivo: 1) Elia Viviani (Sky) in 4.13’18”, 2) Moreno Hofland (Lotto-Jumbo), 3) André Greipel (Lotto-Soudal).

Classifica: 1) Michael Matthews (Orica GreenEdge), 2) Simon Gerrans (Orica GreenEdge), 3) Simon Clarke (Orica GreenEdge).

 


Giulio Ciccone, album di figurine

Libri nel Giro 2016. Corridore postino

Dorsale 26

Di Marco Pastonesi

“Il geco di Abruzzo” ha 21 anni, è piuttosto alto (1,76) e piuttosto smilzo (58), mostra occhi svegli e naso aerodinamico, indossa il dorsale 26 e la maglia verde Bardiani-Csf, e scatta quando la strada tira. Per questo lo chiamano “il geco di Abruzzo”: ama le salite ed è uno scalatore. Ed è per questo che soltanto adesso, per “il geco di Abruzzo”, comincia il bello.

Giulio Ciccone – è lui “il geco di Abruzzo” – è nato in cima a una salita della contrada Mulino, del paese Brecciarola, del comune di Chieti. E non può essere un caso. E non può essere un caso neppure che sulla prima bicicletta, una 24, rossa, non arrivasse alla sella e che sulla prima da corsa, una 28, non arrivasse ai pedali: erano salite anche quelle. Prima idea a sette anni, prima corsa a otto, a Manoppello, “ed è un miracolo se non ci ho lasciato la pelle, perché c’era stata una caduta e io, per evitarla, mi sono infilato tra il muro e un palo”. Da qui le prime raccomandazioni, quella della mamma, “va’ piano”, e quella del papà, “va bene”, che significava tutto ma anche niente, comunque il diritto di provarci, almeno a divertirsi.

Giulio ci ha provato e, se è qua al Giro, è anche perché si sta divertendo: “Per il ciclismo ho accantonato il gioco del calcio, i brividi del gokart e il diploma di geometra, anche perché da piccolo avrei voluto diventare un corridore e da grande vorrei rimanere in questo mondo. Per il ciclismo ho girato l’Italia, due volte vincitore dei gran premi della montagna al Valle d’Aosta, e un po’ anche l’Europa, secondo a un Tour de l’Avenir. Per il ciclismo smonto e rimonto la bicicletta, prima per il gusto di scoprirla, poi di conoscerla, studiarla e capirla”. E alla bici si dedica: “E’ tutto, è tutto quello che fai e dai, certe volte me la porto in camera per dormirci insieme, certe volte le parlo, come se potesse sentirmi e rispondermi, certe volte addirittura la prego e la ringrazio”. Lui che si ispirava a Marco Pantani: “Le salite, gli attacchi, la solitudine”. Lui che in cima alle salite rischia di sfiorare la felicità: “E se non è felicità, almeno è soddisfazione”.

E allora, la salita più lunga? “La Maddalena, fatta in corsa, e lo Stelvio, in allenamento”. La più dura? “Il muro di Guardiagrele, nelle Marche, alla Tirreno-Adriatico, breve ma con una rampa che, a occhio, anzi, a pedale, sarà del 25 per cento”. La più… dolomitica? “Sella e Pordoi, finora mai pedalate, ma aspetto questo Giro”. La più famigliare? “Il Blockhaus”. Ma la salita, perché? “Per conoscersi, approfondirsi, controllarsi”. Se no, che “geco di Abruzzo” sarebbe?

 


Luca Chirichi, album di figurine

Il diario del Giro d’Italia: Luca Chirico (terza tappa)

di Marco Pastonesi

Cento anni fa i bersaglieri-ciclisti. Oggi i corridori-postini. Che per “Libri in Giro” e la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza scrivono una pagina del diario della corsa

Sestri Levante (Genova), lunedì 11 maggio 2015

Luca Chirico

Primo Giro, questo, e prima fuga, oggi. Tappa dura, altimetria mossa, andatura sostenuta, fatica assicurata: tutto quello che piace a me. Pronti, via, fuga: sei o sette, e ci sono dentro anch’io. Poi alla radio mi comunicano che sta rientrando un mio compagno, Edoardo Zardini, lo aspetto, ma non è solo, con lui ci sono anche – per dirne due – Gilbert e Boonen, che sono stati campioni del mondo. Mi metto a disposizione di Zardini: siccome punta ai gran premi della montagna, io tiro per venti chilometri, in salita, finché lui mi confida che non sta bene e finché non mi dice “basta”. Allora stacco, mi risparmio, e al traguardo arrivo a 14 minuti dal vincitore, però in buona compagnia: c’è Chavanel, c’è Petacchi, c’è Viviani, che ha vinto il giorno prima, c’è anche Lobato, che è uno spagnolo emergente.

Faccio parte di una squadra di attaccanti: se fossimo calciatori, sarebbe la squadra di Zeman. La prima vittoria è proprio quella di centrare la fuga buona. Spesso rimane l’unica vittoria della giornata. Ma le soddisfazioni ci sono comunque: la gente che urla, che incoraggia, che applaude. Tutte scene che prima vedevo alla tv, e adesso dal vivo sulle strade, e poi la sera in tv, con la differenza che nelle immagini ci sono anch’io. E l’effetto è particolare. E la sera, da casa, al telefono, mi hanno festeggiato come se avessi vinto.

Avevo otto anni quando, alla tv, guardavo Pantani vincere due tappe al Tour. Senza Pantani, il ciclismo non mi sembrò più così entusiasmante. Avevo dodici anni quando, sempre alla tv, guardavo Cunego conquistare il Giro d’Italia. E fu in quei giorni che decisi di salire in sella. La prima bici era stata fatta da un artigiano varesino, era marchiata Cycling One, e adesso l’ha ereditata Ilaria, la mia ragazza. La prima corsa l’ho disputata il primo anno da allievo, a quattordici anni, in Svizzera, correvo per il Velo Club Lugano. La prima vittoria, il secondo anno da allievo, a quindici anni, a Vertemate con Minoprio. Arrivai da solo: l’unica maniera per essere certo di poter vincere.

Sarà che mi sono diplomato perito aeronautico, ma io, sulla bici, sogno sempre di volare.

Arrivo: 1) Michael Matthews (Orica-GreenEdge) in 3.33’53”, 2) Fabio Felline (Trek), 3) Philippe Gilbert (Bmc).

Classifica: 1) Michael Matthews (Orica-GreenEdge), 2) Simon Clarke (Orica-GreenEdge) a 6”, 3) Simon Gerrans (Orica-GreenEdge) a 10”.