Giacomo Denti, album di figurine
Libri nel Giro 2016. Corridore postino
Anno 1945
Di Marco Pastonesi
La sua prima bicicletta – una Olimpia Garibaldina, cromata - aveva dieci padroni. Chi le aveva dato il telaio, chi la forcella, chi i pedali e le ruote. Il più famoso dei proprietari era Sergio Alzani, che sarebbe diventato professionista, nella Gazzola, 1963 e 1964, senza vittorie: a quella bicicletta aveva regalato i tubolari. E su quella bicicletta Giacomino Denti, detto Mino, di Soncino, aveva deciso che avrebbe fatto anche lui il corridore. Finché, tesserato dalla C.C.Cremonese e ricevuta una bici personale dalla società, restituì quella in multiproprietà per permettere a un altro ragazzo di tentare la fortuna a due ruote.
La prima corsa a Cinisello Balsamo, “una cinquantina in volata, io terzo, senza paura, e il sospetto che mi sarebbero sempre mancate le prime tre o quattro pedalate di potenza”. La prima vittoria a Persichello di Cremona, “sotto la pioggia, una fuga a cinque o sei, l’arrivo da solo, e la certezza che soltanto la solitudine mi avrebbe sempre garantito il primo posto”. La vittoria più bella nella cronosquadre – la 4x100 km Dalla Bona-Denti-Guerra-Soldi – ai Mondiali dilettanti 1965, “un quartetto di motociclette, avremmo vinto anche l’anno dopo se non avessimo montato gomme speciali che sull’acqua ci hanno tradito, cinque cadute e un abbandono”. La vittoria più difficile al Tour de l’Avenir 1966, “quattordici tappe con Alpi e Pirenei, e i francesi che s’incazzavano”. La vittoria più vittoriosa al Giro del Veneto 1969, media record per 16 anni, sfrecciando in volata davanti a Dancelli, Polidori, Panizza, Boifava e Aldo Moser. Finché al Giro d’Italia 1970, “la settima tappa, la Zingonia-Malcesine, giù dal Crocedomini, verso la Val Sabbia, tre chilometri prima di Bagolino, la strada stretta, le macchine parcheggiate, la ghiaia invisibile, uno spagnolo, il numero 81, che cade, e io, per evitarlo, che frano”. Dodici metri di salto. Diciotto fratture. Fine della carriera.
Mino, ce l’ha nel cognome, stringe i denti e ricomincia a vivere. Con la mamma e due sorelle sarte, abbigliamento sportivo, anzi, ciclistico. Poi, dal 1980, con la moglie e il figlio, fabbrica anche biciclette, su misura, dai giovanissimi ai professionisti. E così, se prima a vincere era lui, Mino, adesso, a vincere, è Denti, la sua bici.
“Il ciclismo mi ha educato alla disciplina, alle regole, alla vita. Non c’è mai stato un solo giorno in cui abbia detto che ‘non ho voglia di lavorare’. Così come non c’è mai stato un solo giorno in cui non abbia ringraziato tutto quel pedalare e girare, quel conoscere e vedere”. Istanti, incontri, anche incantesimi. “Passaggio a livello. Jacques Anquetil perde una borraccia. Io, che ne ho due, gliene do una. Lui la prende e beve, a gocce, come un uccellino. E fino alla fine di quel Giro d’Italia, ogni volta che mi vede, mi dice grazie. Lui, Anquetil, il più elegante, il più signore, il più grande di tutti”.
Marco Pastonesi
Damiano Caruso, album di figurine
Il diario del Giro d’Italia: Damiano Caruso (quindicesima tappa)
Domenica 24 maggio 2015
Cento anni fa i bersaglieri-ciclisti. Oggi i corridori-postini. Che per “Libri in Giro” e la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza scrivono una pagina del diario della corsa
Damiano Caruso (Bmc)
Decimo all’arrivo, settimo in classifica. In una tappa di montagna con arrivo in salita. Eppure è stato, finora, l’unico giorno in cui pensavo di poter fare meglio.
Mi chiamo Damiano come Cunego e Caruso come Giampaolo, sono Damiano Caruso da Ragusa, ho ventisette anni e questo è il settimo da professionista. Dicono che sia un corridore completo. C’è una battuta, nel ciclismo: quando uno dice di essere completo, poi aggiunge, con autoironia, perché vado piano dappertutto. La verità è che vado bene in salita, ma non sono uno scalatore; mi difendo a cronometro, ma non sono un cronoman; sono anche “velocino” in volata, ma non sono uno sprinter; il mio forte sarebbero le corse a tappe, ma m’illudo di potermela giocare anche in quelle di un giorno. Così sono venuto al Giro d’Italia anche per scoprire meglio che tipo di corridore sono, e se ho spostato un po’ più in là i miei limiti.
Se c’è stato un giorno sì, quello della vittoria di Gilbert a Vicenza: non facevo fatica. Se c’è stato un giorno così così, forse i primi, in Liguria. Se c’è stato un giorno no, oggi, ma se fosse questo l’unico giorno no di questo Giro, allora mi andrebbe alla grande. Se mi aspettassi di più, dico di no, perché pensavo di venire al Giro per lottare per un posto tra i primi dieci della classifica, e invece adesso sto lottando per un posto tra i primi cinque. Se c’è una cosa che temo, gli imprevisti, e qui ci può essere un imprevisto dietro ogni curva. Se c’è una cosa che mi dà fiducia, allora ce n’è più di una: io, la squadra, i miei compagni.
Con i compagni è sempre un dare e ricevere. Rick Zabel, per esempio: 21 anni, tedesco, figlio di Erik che nel ciclismo ha vinto tantissimo, un giovane corridore di grandi qualità e prospettive. Oggi, stavano cadendo due gocce d’acqua ed eccolo lì, pronto, a porgermi la mantellina, senza che neanche gliel’avessi chiesta. Rick ha la giusta umiltà per imparare i comandamenti di questo mestiere.
Domani la seconda giornata di riposo. Dormire, riposare, staccare. Poi altre sei tappe, di cui tre durissime. Se mantenere il segreto, io punto a quella di Verbania, che è un po’ più facile e che, forse, almeno per me, sia più felice.
Marostica (Vicenza)-Madonna di Campiglio (Trento) di 165 km
Arrivo: 1) Mikel Landa (Astana) in 4.22’35”, 2) Yury Trofimov (Katusha) a 2”, 3) Alberto Contador (Tinkoff-Saxo) a 5”.
Classifica: 1) Alberto Contador (Tinkoff-Saxo), 2) Fabio Aru (Astana) a 2’35”, 3) Andrey Amador (Movistar) a 4’19”.
Matteo Busato, album di figurine
Il diario del Giro d’Italia: Matteo Busato (ventesima tappa)
Sestriere (Torino), sabato 30 maggio 2015
Cento anni fa i bersaglieri-ciclisti. Oggi i corridori-postini. Che per “Libri in Giro” e la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza scrivono una pagina del diario della corsa
Saint-Vincent (Aosta)-Sestriere (Torino) di 199 chilometri
Matteo Busato (Southeast)
Era il tappone del Colle delle Finestre. Solo a pronunciarlo, mette paura. Figurarsi a pedalarlo. Però era anche l’ultimo giorno buono per andare in fuga. Ed era anche il modo migliore per esorcizzare e sconfiggere il timore di quella salita metà asfaltata e metà sterrata. E così sono andato in fuga.
Ero già stato in una fuga buona, quella di Forlì, arrivata al traguardo. Ero stato anche in altre fughe, meno buone perché hanno fatto meno chilometri. Anche questa era a rischio. Speravo che il gruppo le lasciasse prendere più tempo, invece siamo sempre rimasti a tiro. E quando il vantaggio era di un solo minuto, ho preferito proseguire con il mio passo.
Mai fatto prima, il Colle delle Finestre. La prima parte, quella sull’asfalto e nel bosco, è umana. La seconda parte è più dura, la fatica si accumula, le ruote non scorrono. Venivo su con il 39×29. Ma ai meno 3 dalla vetta c’era una marea di gente. E sono riuscito a godermi lo spettacolo. Tutti che urlavano, che incitavano, che partecipavano. Bellissimo.
Però, a pensarci, il Mortirolo è stato più duro. Anche quella era la mia prima volta, in più non stavo bene, avevo già tre salite – Campo Carlo Magno, Tonale e Aprica – nelle gambe, e non c’era neanche tutta quella marea di gente a incitarci.
Sono contento, anzi, felice. Questo mio primo Giro lo finisco migliorando. Da domani sera, quindici giorni tranquillo, poi tornerò ad allenarmi, dormendo in un rifugio al Passo Fedaia, sotto la Marmolada, a 2057 metri di altitudine, a mie spese. Per fare i corridori, adesso, bisogna essere un po’ anche alpinisti.
Arrivo: 1) Fabio Aru (Astana) in 5.12’25” alla media di 38,218 km/h, 2) Ryder Hesjedal (Cannondale-Garmini) a 18”, 3) Rigoberto Uran (Etixx-Quick Step) a 24”.
Classifica: 1) Alberto Contador (Tinkoff-Saxo), 2) Fabio Aru (Astana) a 2’02”, 3) Mikel Landa (Astana) a 3’14”.